I DONI CHE CI SONO OFFERTI GRATUITAMENTE
La parabola che leggiamo oggi nella liturgia ci ricorda che i talenti sono una consegna che abbiamo ricevuto, che ci sono stati dati. Prima delle nostre abilità c’è un dono che ci è offerto gratuitamente.
Il patrimonio che noi possediamo è una consegna di Dio a ciascuno di noi, in modo tale che i talenti diventano una responsabilità, un appello alla nostra libertà, per metterli in gioco secondo quello che siamo, con la nostra ricchezza personale, con le nostre qualità. E quel Dio che ce li ha dati ha fatto nei nostri confronti un atto di fede, un atto di fiducia. Il patrimonio appartiene a lui, però noi lo possiamo arricchire; il padrone ha fiducia in noi, spera in noi, e i talenti che noi possediamo sono il segno di questa speranza, portano l’attesa del padrone.
Secondo la parabola, quando abbiamo questi talenti, ci sono due possibilità: usarli e produrli, quindi aumentare il patrimonio, in concreto raddoppiare oppure non usare e rendere il patrimonio sterile; quel talento che è sotterrato è un patrimonio sterile, non produce niente per nessuno.
L’importante per la parabola non è riuscire ad avere un successo verificabile, ma è trafficare i talenti bene, metterci tutto l’impegno, in modo che quello che noi abbiamo ricevuto lo viviamo per colui che ce lo ha dato. Dopo, il risultato esterno conta poco, il Signore sa vedere nel cuore l’intenzione o l’atteggiamento. Non si tratta infatti di un discorso da imprenditore, dove evidentemente il risultato è importantissimo, ma è un discorso di fede dove quello che conta innanzitutto è l’atteggiamento interiore del cuore.
Che l’ottica sia questa è confermato anche dalla terza scena. Perché quando si fa il rendiconto i servi che hanno guadagnato con il loro impegno sono ricompensati; e come ricompensa non è dato qualche cosa, è data una comunione di vita, una partecipazione alla gioia, alla pienezza.
Quando il terzo servo, quello che ha nascosto il talento, spiega il suo comportamento dice: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo»; «per paura». “Paura” vuole dire: questo servo vede il talento che ha ricevuto non come un atto di fiducia in lui, ma piuttosto come un peso che gli è stato messo addosso da un padrone che lo sta sfruttando. Al contrario gli altri due si sono dati da fare; hanno avuto fiducia nel loro padrone, hanno riconosciuto il dono dei talenti come un dono di speranza, come qualche cosa che valorizzava la loro identità e personalità e hanno risposto con una capacità di amore e di fedeltà.