Parrocchia 
Santi Angeli Custodi

Francavilla al Mare - Chieti

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (LC 12,13-21)

 

Domenica 31 luglio | AgenSIR

CIASCUNO È CIÒ CHE AMA

           

Il brano di questa domenica ci presenta una scena classica: due fratelli litigano per una eredità e uno di loro si rivolge a Gesù per chiedere il suo arbitrato ma riceve un rifiuto e un’esortazione ad evitare la cupidigia. L’episodio si capisce facilmente: anzitutto le liti per l’eredità sono fatali e antiche quanto è l’uomo, e nemmeno il legame di parentela che unisce i fratelli è una garanzia per evitarlo, anzi sembra che questo renda le liti ancora più aspre, spesso senza possibilità di accordo. Da parte sua, Gesù rifiuta decisamente ogni arbitrato, perché non è questa la missione che ha ricevuto dal Padre; egli è venuto per annunciare il Regno di Dio, per sottomettere alla sovranità di Dio la vita delle persone; le decisioni giuridiche sui beni materiali non lo interessano.

Però da quest’episodio Gesù ricava una lezione precisa: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Per vivere sono necessarie molte cose, anche il denaro attraverso cui le cose possono essere acquistate; ma bisogna guardarsi bene dal confondere il senso della vita con i beni necessari per sostenerla. Gesù spiega tutto questo con la parabola di un uomo in gamba e fortunato: il raccolto è tanto abbondante che i granai non riescono a contenerlo; nulla di male in tutto questo, perché non si dice che quell’uomo sia stato disonesto o che abbia accumulato il suo capitale sfruttando gli operai. Si dice solo che il risultato del suo lavoro è stato molto buono.

“Stolto”, dice Dio: questa è la parola che cambia tutto e che deve risuonare con forza contrastando i nostri giudizi, le attese e le valutazioni. “Stolto” non dice disonesto, significa poco intelligente e poco furbo. Perché? La parabola dà due indicazioni per capire.

La prima motivazione la troviamo in questa frase: «questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Il valore di una persona non dipende da quello che ha, ma da quello che è. Una verifica di questa realtà è proprio la morte. Di fronte alla morte, tutto quello che l’uomo possiede è inutile, perché passa a qualcun altro, agli eredi, non rimane al proprietario. Oltre alla morte, rimane solo quello che l’uomo è: la sua bontà o cattiveria, la sua saggezza o stoltezza, la sua mitezza o prepotenza.

Il secondo motivo per cui l’uomo viene definito stolto è questo: «così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». L’uomo della parabola aveva raggiunto la meta che si era prefisso, ma non aveva risposto alle attese di Dio, non aveva compiuto quello che era prezioso davanti a Dio. Ciò che rimane – suggerisce Gesù – è solo quello che è prezioso davanti a Dio.

Diceva S. Agostino: «Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che cosa devo dire? Che tu sarai Dio? Io non oso dirlo per conto mio. Ascoltiamo piuttosto le Scritture: Io ho detto: “voi siete dèi, e figli tutti dell’Altissimo” (Sal 81,6)» (In Io. Ep. tr. 2,14). Se, dunque, vogliamo essere figli dell'Altissimo, non amiamo il mondo, né le cose che sono nel mondo.

 

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