Parrocchia 
Santi Angeli Custodi

Francavilla al Mare - Chieti

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (LC 10,1-12; 17-20)

UNA MISSIONE IN DEBOLEZZA E IN SOBRIETÀ

           

Nel brano evangelico di questa domenica si parla dell’invio da parte di Gesù dei 70 o 72 discepoli. Solo Luca, tra gli evangelisti, riferisce di questa seconda missione. Egli lega in questo modo alla vita di Gesù sia la missione ad Israele che quella ai pagani. Perché 70 o 72 discepoli? Una delle spiegazioni vi trova un riferimento a Gen 10 dove la discendenza dei figli di Noè forma 72/70 popoli e simboleggia dunque i popoli del mondo pagano. L’altra spiegazione fa riferimento a Nm 11,24-30 dove lo spirito profetico viene dato a 70 anziani scelti da Mosè, ma anche a due uomini che non erano scelti (somma: 72). In ogni caso, l’invio dei 70 (o 72) discepoli giustifica la missione universale della chiesa portata avanti non solo dagli apostoli, ma anche da altri missionari.

È chiaro dunque che l’annuncio del Regno è un compito di tutti ed è rivolto a tutti, nessuno escluso: la messe è infatti abbondante, ma i lavoratori sono pochi. E non basta che questi discepoli si diano tanto da fare, ma che soprattutto preghino il padrone della messe perché mandi altri operai, a ricordare che essi sono sempre servi e che i risultati non dipendono da loro. Ma se Dio è la sorgente della missione, i destinatari saranno gli uomini e dunque il compito di questi evangelizzatori non sarà semplice o privo di pericoli: «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». Essi dovranno uscire dalla loro tranquillità per andare nella debolezza e dovranno avere molta fede nella Parola che annunciano. Inoltre la missione non fa affidamento su ricchezza e potenza, ma sull’essenzialità e sull’urgenza (evitando bisaccia, sandali, saluti). Il loro stesso equipaggiamento rende visibile il loro programma e il loro abbandono alla Provvidenza del Padre. La missione in debolezza e in sobrietà, caratteristiche divine, è condizione di efficacia della buona notizia.

I 72 avevano un compito nuovo e difficile. Essi tornarono però da Gesù pieni di gioia per quanto avevano compiuto nel suo nome.  «Anche noi - scriveva Paolo VI nel 1975 a conclusione della Evangelii Nuntiandi - conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi… uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (n. 134).

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