LA PROFONDITÀ DEL CUORE DI CRISTO
Il volto di Dio, che la parabola del padre e dei due figli ci ha rivelato domenica scorsa nell’abbraccio accogliente del padre misericordioso, si riflette oggi nello sguardo e nella parola che Gesù rivolge a una donna adultera in procinto di essere condannata alla lapidazione dagli scribi e dai farisei, secondo i dettami della legge mosaica.
Sorpresa in flagrante adulterio – almeno così sostengono i suoi accusatori – essa è condotta da Gesù perché sia da lui giudicata. Gli scribi e i farisei si aspettano che il maestro rompa il silenzio iniziando la sua risposta con quella parola che spesso hanno udito: «Mosè vi ha detto... ma io vi dico...». Ciò che Gesù fa, invece, è sorprendente e mette costoro con le spalle al muro.
In due successivi momenti, ritmati dal silenzio e dalla parola, Gesù riesce a creare il vuoto attorno a questi uomini e, quasi sospendendoli su di esso come su di un abisso, li obbliga a spostare lo sguardo sul loro cuore, sul loro comportamento, sul loro modo di giudicare, sul loro modo di rapportarsi a Dio. E tutto avviene attraverso un gesto e una parola. Un gesto misterioso ripetuto due volte, un gesto che ha suscitato molte interpretazioni: «Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra... e chinatosi di nuovo, scriveva per terra» (vv. 6.8). È un gesto profetico, simbolicamente carico della forza del giudizio di Dio su ogni uomo, un gesto che potrebbe tradurre questa parola di Geremia: «coloro che si allontanano da me, saranno scritti per terra» (Ger 17,13). Gesù non pronuncia alcun giudizio contro questi uomini così sicuri della loro giustizia; li rimanda al tribunale della loro coscienza perché in esso facciano la verità. E la parola che finalmente Gesù pronuncia, rompendo quel silenzio carico di attesa, è come una spada che penetra nel cuore di questi uomini: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7).
Alla donna, rimasta da sola nel mezzo, Gesù riserva una parola che è come un balsamo che le ridà la forza per camminare nuovamente verso la vita: «neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Qualche commentatore osserva che di fronte a una donna adultera «ci aspetteremmo un discorso sul peccato, sulla sua gravità e sulla conversione. L’invito alla conversione c’è: “Non peccare più”. Ma si riduce a una sola parola, e viene dopo il perdono: “va”». Gesù dunque non nega il peccato della donna, ma non la condanna, la perdona e la invita a una esistenza nuova.
Si legge nei detti dei Padri: «Un brigante del deserto venne un giorno a morire davanti alle porte del monastero di Scete. Dio mi perdonerà - disse al fratello che era subito accorso. Perché ne sei sicuro? – chiese questi. Perché è il suo mestiere» (R. Kern, Arguzie e facezie dei Padri del deserto, Torino, 21987, 87).