SERVIRE È REGNARE
Lungo la strada verso Gerusalemme Gesù cammina davanti ai suoi discepoli e, in disparte, parla ai Dodici di ciò che gli sarebbe presto accaduto. Come già Pietro aveva reagito di fronte al primo annuncio della passione, così ora Giacomo e Giovanni reagiscono al terzo annuncio. Anch’essi aspirano a un primato, desiderando occupare i posti d’onore alla destra e alla sinistra di Gesù, una volta seduto sul trono della sua sovranità. E di nuovo scoppia una contesa fra i discepoli ed è comprensibile che gli altri dieci se la prendano con l’arrivismo dei due figli di un pescatore.
Non fanno certamente una bella figura questi discepoli che dovranno compiere ancora molta strada per capire il cuore del mistero. La comunità sembra sgretolarsi: più Gesù interpreta il suo cammino come offerta della vita, più i suoi litigano e rompono l’unità. Con la sua risposta Gesù smaschera la mentalità troppo umana dei due discepoli: non hanno capito che, seguendo Gesù, era stata loro additata la via che conduce alla passione ed alla morte prima di giungere con lui “nella gloria”.
Ai due figli di Zebedeo, che chiedono un’attenzione privilegiata (“sedere nella gloria”), egli può offrire solo “un calice” e “un battesimo”, segni di una sofferenza a costo di una vita. La gloria è dono del Padre; il “calice” dell’amarezza non si conquista: si beve nella fede. Il potere deve rimanere nelle mani del Padre (sulla croce, a destra e a sinistra, ci saranno in realtà due malfattori, mentre i discepoli fuggiranno!).
Agli altri dieci discepoli, che si indignano (non perché rifiutano la logica del potere, ma perché vorrebbero loro i posti e si sentono scavalcati!), Gesù dice che non devono auto-ingannarsi sul regno di Dio: esso è uno spazio in cui non si fa carriera, ma in cui si impara a morire a se stessi trasformando il desiderio di dominio in servizio.
“Servire è regnare”, diceva Ireneo di Lione. Principio di base della carta costituzionale della Chiesa è infatti che ciascuno è il servo di tutti gli altri: chi ha autorità nella comunità non è padrone, ma servo. Lo aveva ben capito Silvano del monte Athos che scrive: “Quando ho cominciato a conoscere il Signore, per mezzo dello Spirito, allora ho cominciato a considerare tutta la gloria del mondo come fumo che il vento disperde”.