FIGLIO DI DIO, UN CROCIFISSO
Sappiamo bene che il cuore del racconto della passione del vangelo di Marco è l’espressione del centurione romano dopo la morte di Gesù «Veramente quest’uomo era figlio di Dio». Sono parole decisive per il Vangelo, ma nello stesso tempo parole che hanno un suono paradossale: “Figlio di Dio, un crocifisso!”.
Ci si può mettere nei panni di un romano che considerava la crocifissione come il supplizio degno di uno schiavo; oppure nei panni di un ebreo che legge nel Deuteronomio: “Maledetto chi pende dal legno”.
Ci sorprendiamo non poco di fronte a queste rivelazioni? Chi è veramente Dio se il Figlio di Dio è un crocifisso? Già in precedenza Marco aveva cercato di orientare la nostra attenzione verso la croce. Quando Pietro, interrogato da Gesù, gli ha risposto arditamente: “Tu sei il Cristo”, Gesù ha cominciato subito a parlare della sua passione, a dire che avrebbe dovuto “soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare”. Questo annuncio i discepoli se lo sono sentiti ripetere più volte, nonostante i loro silenzi imbarazzati, le loro incomprensioni e reazioni.
Quest’uomo, il crocifisso, è veramente Figlio di Dio. Il crocifisso, non un altro. Non quell’uomo che fosse eventualmente sceso dalla croce, non quello che avesse colpito con ira irresistibile i suoi avversari. Ai suoi discepoli Gesù stesso aveva spiegato: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Per servire, come uno schiavo…