LA CONOSCENZA DI GESÙ
Dopo la formazione dei discepoli tra le due sponde del mare di Tiberiade, nella pericope odierna Marco presenta la missione personale di Gesù a Nazaret e nei villaggi vicini. Gesù se ne va spontaneamente, assieme ai suoi discepoli, nella sua patria, lì dove ci sono quelli che lo conoscono da tempo. Evidentemente a Gesù sta a cuore parlare alla sua gente.
L’inizio del racconto è assai simile a quello di Cafarnao: Gesù insegna di sabato nella sinagoga, e i suoi ascoltatori sono profondamente colpiti (cf. 1,21-22). Altrettanto sorprendenti sono le differenze successive. Anche in Cafarnao ci si chiedeva: «Che è mai questo?». Ma poi si chiamava l’azione di Gesù «un insegnamento fatto con autorità», e si riconosceva il suo potere sui demoni. I compaesani di Gesù pongono solo domande e si scandalizzano di lui, chiudendosi alla sua persona e alla sua missione.
All’inizio dicono: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?». E proseguono: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Le prime domande sull’origine e sulla natura delle due principali forme in cui Gesù opera – insegnamento e azioni di potenza – sono di una importanza decisiva. Le altre sono chiaramente retoriche. L’evangelista constata infatti che la gente del suo villaggio “sa” già chi egli è. Conoscere Gesù “alla maniera umana”, per riprendere un’espressione di Paolo (2Cor 5,16: “secondo la carne”), significa sicuramente rimanere scandalizzati. Se Gesù è proprio colui che essi conoscono, allora nulla di ciò che possono vedere o sentire da lui riuscirà a convincerli di qualcos’altro rispetto a ciò che già sanno. Si rammenti qui la frase di Lutero: “È molto meglio per te che Cristo venga attraverso l’evangelo. Se entrasse ora dalla porta si troverebbe in casa tua e tu non lo riconosceresti”.
Questa accoglienza negativa da parte della gente del suo paese è l’occasione scelta da Marco per riportare la celebre dichiarazione di Gesù: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». Di solito si presta attenzione solo alla prima parte della frase, dimenticando che Gesù aggiunge: «tra i suoi parenti e in casa sua». Così facendo Marco sostiene che anche la famiglia di Gesù ha impiegato del tempo prima di riconoscere il profeta di Dio.
L’episodio si conclude con un’annotazione un po’ disincantata da parte dell’evangelista: «E lì non poteva compiere nessun prodigio». Commenta a questo proposito Origene: «Queste parole ci insegnano che i miracoli si compivano in mezzo ai credenti, poiché “a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza” (Mt 25,29), mentre invece tra gli increduli i miracoli non solo non producevano effetto, ma addirittura, come ha scritto Marco, non potevano produrlo. Fa’ attenzione, infatti, a queste parole: “Non poté compiere alcun miracolo”; difatti, non ha detto: “Non volle”... bensì: “Non poté”... (Mc 6,5), perché si sovrappone al miracolo che sta per compiersi una collaborazione efficace proveniente dalla fede di colui su cui agisce il miracolo, e che l’incredulità impedisca tale azione» (Origene, Comment. in Matth., 10, 17-19).