AMICI E NON SERVI
Il brano evangelico che la liturgia oggi ci propone è, in qualche misura, una spiegazione e un approfondimento dell’allegoria della vite e dei tralci che abbiamo trovato nel vangelo di domenica scorsa. La medesima linfa scorre dalla vite ai tralci, unendoli; la realtà che unisce Gesù e i suoi discepoli altro non è che l’amore eterno del Padre per il Figlio, che quest’ultimo ha dato ai suoi e che vuol vedere circolare fra di loro.
Il testo, insistendo infatti sui termini “amore”, “amare”, “amici”, mette in evidenza il tema fondamentale dell’amore fraterno, che ha per modello l’esempio dato da Gesù con il dono della propria vita. Uno dei versetti però che colpisce maggiormente il lettore è il seguente: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamati amici” (Gv 15,15). Qui viene espresso concretamente il punto di arrivo della disciplina spirituale a cui il Quarto evangelista sottopone il discepolo: il Verbo è ricevuto tra noi nell’intimità misteriosa dell’amicizia.
Il concetto di amicizia veniva già utilizzato nell’Antico Testamento per indicare il rapporto con Dio a proposito di Abramo (cf. Gen 18,17), di Mosè (cf. Es 33,11) e di coloro che abitano con la Sapienza (cf. Sap 7,27-28). Se accostiamo il Nuovo Testamento, lo sguardo è subito attratto da due icone dell’amicizia: quella che Gesù aveva intessuto con Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria (cf. Gv 11) e quella che lo legava in maniera privilegiata all’apostolo Giovanni (cf. Gv 13,23). Nel Nuovo Testamento, però, il dato antropologico dell’amicizia è ripensato e vissuto in un’ottica di fede, e non più semplicemente come un’esperienza umana tra le altre. Per questo Giovanni designa con il termine “philos”, “philein” il rapporto con Cristo. Dalla pura e semplice obbedienza i discepoli vengono portati nella confidenza, nella conoscenza, nella rivelazione del cuore di Cristo. Per Gesù l’amico è come un altro se stesso, al quale può svelare tutto il suo cuore. Gesù rivela ai suoi amici discepoli tutto il suo mistero nel quale è racchiuso il mistero del Padre e dello Spirito Santo. La conoscenza del cuore non è del servo. Il servo ascolta solo la voce del suo Signore. Il servo non conosce il cuore del suo Padrone.
Ciascuno di noi è dunque spinto verso l’acquisizione di un’intimità col Signore davvero nuova, un’intimità, un rapporto che dev’essere coltivato, ma che in verità ci è preparato come dono da Dio stesso.