LA CROCE, RIVELAZIONE DELL’IDENTITÀ DI CRISTO
Il racconto della passione secondo Marco, che la liturgia ci fa ascoltare nella domenica delle Palme all’inizio della Settimana Santa, ci presenta i fatti che hanno riguardato gli ultimi istanti della vita di Gesù in modo sconcertante. L’evangelista fa risaltare il paradosso della Croce di Cristo e, attraverso la narrazione, esprime la sua teologia, senza fare lunghi discorsi e senza troppi interventi personali nel corso del testo. Come nel suo stile, ama mettere il lettore soprattutto davanti allo shock delle immagini e dei fatti.
Come è noto, tutto il vangelo di Marco è una rivelazione dell’identità di Gesù. A più riprese ritorna l’interrogativo: “Chi è dunque costui?” (1,27; 4,4; 6,14-16). Gesù manifesta una netta reticenza nell’affermare il suo titolo messianico, ed impone il silenzio al riguardo (1,34.44; 3,12; 5,43). La croce costituirà la tappa definitiva di questa rivelazione di Gesù. Davanti al Sinedrio Gesù viene interrogato dal Sommo Sacerdote che gli chiede se egli è “il Cristo, il Figlio del Benedetto”. La sua risposta è la seguente: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (14,62). Questa risposta lo trascinerà alla condanna a morte per bestemmia. Ora, il titolo “Figlio di Dio” e quello di “Figlio dell’uomo” sono esplicitamente legati non soltanto alla nozione di gloria, ma anche al tema del pericolo e della morte. La scena della crocifissione lo conferma. La professione di fede del centurione ai piedi della croce viene riportata in questi termini: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (15,39). È il primo uomo che crede e confessa: Gesù è il Figlio di Dio. E questo riconoscimento - non passi inosservato - viene fatto da un centurione dell’esercito romano, cioè da un pagano. Il centurione è l’uomo che ha capito. Secondo Marco egli è il vero credente e ogni vero discepolo di Gesù deve essere come lui: colui che – contemplando Gesù nella sua apparente debolezza, che muore per gli altri e non salva se stesso – proprio qui vede il Figlio di Dio.
Un poeta ha immaginato questo racconto fatto dal centurione e così lo descrive: «Non ci fu mai morte come questa / e io ne ho perso il conto... / La sua battaglia non era con la morte. / La morte era sua serva, / non la sua padrona. / Non era un uomo sconfitto... / Sulla croce, la sua battaglia era qualcosa di molto più serio / che le lingue dei farisei. / No, la sua era un’altra battaglia... / Alla fine emise un alto grido di vittoria. / Tutti si chiedevano che fosse, / ma io ne so qualcosa di combattimenti e di combattenti. / Riconosco un grido di vittoria, / tra mille» (F. Topping, An impossible God).